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MUMAC – Museo della Macchina per Caffè Cimbali Group
Itinerario Speciale MUMAC - Giornate FAI d'Autunno 2024
Lingua dell'itinerario:
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Benvenuti
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Sala 1
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Itinerario Speciale MUMAC - Giornate FAI d'Autunno 2024
MUMAC – Museo della Macchina per Caffè Cimbali Group
Questo itinerario vi porterà alla scoperta del Museo della Macchina per Caffè di Cimbali Group in occasione delle Giornate FAI d’Autunno che, grazie al Fondo Ambiente Italiano, permettono di accedere a luoghi della cultura, dell’arte e della bellezza italiana. Un evento amato e atteso che il FAI dedica, da tredici anni, al patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese.
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Percorso di visita
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Benvenuti
Benvenuti al MUMAC per questa visita speciale!
Oggi potete infatti visitare il Museo della Macchina per Caffè di Cìmbali Group in occasione delle Giornate FAI d’Autunno che, grazie al Fondo Ambiente Italiano, permettono di accedere a luoghi della cultura, dell’arte e della bellezza italiana. Un evento amato e atteso che il FAI dedica, da tredici anni, al patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese.
Probabilmente avrete ascoltato o ascolterete una breve introduzione al museo da parte di Barbara Foglia, MUMAC Director, e di Enrico Maltoni, il più importante collezionista al mondo di macchine per caffè espresso professionali e co-creator del MUMAC, oggi presente per l’occasione.
Per questo motivo, usufruire di questa APP con la visita dedicata alle Giornate FAI, vi consentirà di entrare direttamente nel mondo e nella storia delle macchine per caffè espresso professionali, consentendovi, dal momento in cui varcherete la soglia della prima sala del museo, di immergervi direttamente in un viaggio nel tempo: buona visita!
Il museo è nato nel 2012, ed è stato realizzato in occasione del centenario della fondazione dell’impresa, avvenuta nel 1912 da parte di Giuseppe Cìmbali a Milano. SI tratta della più grande esposizione permanente dedicata alla storia, al mondo e alla cultura delle macchine professionali per il caffè espresso: un luogo inaspettato, appassionante e unico.
Sala 1
Eccoci nella prima Sala. Siamo in Italia fra la fine dell’800 e i primi due decenni del ‘900. Le foto alle pareti, il grande bancone, le macchine, le immagini pubblicitarie ci raccontano che siamo in un momento di grande fermento e innovazione. La rivoluzione industriale, la macchina a vapore, il treno accorciano le distanze verso le novità e il futuro.
È in questo periodo di invenzioni e fermento che nasce il caffè espresso. Ma dove nasce? Molti pensano che nasca a Napoli e invece, se partiamo dal presupposto che il caffè espresso nasce dalle macchine che per prime lo producono, trova la sua origine fra Torino e Milano. In realtà, a Torino viene realizzata quella che potremmo definire l’antenata della macchina per caffè espresso. Si tratta infatti di una macchina per caffè “istantaneo” di cui, qui, abbiamo una riproduzione realizzata nelle Officine Maltoni sulla base del brevetto originale.
È la macchina che trovate entrando a sinistra fedele riproduzione di quella brevettata e realizzata a Torino da Angelo Moriondo e, di cui, nel 1884, parla la «Gazzetta Piemontese», annunciando la nascita di una «bellissima macchina per fare il caffè».
L’invenzione del torinese, pur ancora lontana dall’elaborazione delle prime macchine per espresso, ha il merito, per la prima volta, di produrre la bevanda grazie all’uso del vapore e di offrire una bevanda di qualità ai sempre più numerosi appassionati.
L’estrazione attraverso il vapore consente di ottenere una bevanda non più per percolazione o per infusione, come avveniva fino a quel momento, ma tramite la pressione dell’acqua portata a ebollizione. Questo caffè però non può essere ancora definito “espresso”, cioè fatto al momento e su richiesta espressa del cliente, poiché viene prodotto in grandi quantità e non in singole dosi. Come potete vedere, quei grandi contenitori laterali consentono alla macchina di produrre tanto caffè contemporaneamente e di mantenerlo in caldo per l’erogazione da effettuare ai numerosi clienti che si avvicendavano al Gran Caffè Ligure della famiglia Moriondo, situato vicino alla stazione di Porta Nuova. Quando i viaggiatori scendevano dal treno in arrivo in stazione, si recavano al Caffè e si avvicendavano numerosi per gustare un’ottima bevanda calda che li attendeva pronta al consumo!
Al Gran Caffè Ligure della famiglia Moriondo, ben due di queste macchine, brevettate, ma mai commercializzate, facevano bella mostra di sé per il servizio pubblico di “caffè istantaneo”, come definito da Moriondo stesso: infatti, il caffè così prodotto ed estratto in quantità non risulta ancora preparato “tazza per tazza”, concetto che sottende al termine di “espresso”.
Per capire il concetto di “espresso” come caffè prodotto al momento, fresco e velocemente per il cliente bisogna aspettare un’altra macchina, quella che si trova alla vostra destra, la macchina Ideale della ditta Desiderio Pavoni., la prima vera macchina per caffè espresso.
La sua nascita è in realtà connessa all’invenzione, nel 1901 da parte del milanese Luigi Bezzera del gruppo erogatore singolo presente sulla macchina. Guardate il portafiltro a uno o due beccucci e il sistema di aggancio al corpo centrale della macchina: erano già molto simili a quelli di oggi, non trovate?
Il gruppo erogatore che produce il caffè “tazza per tazza”, di fatto, connota la nascita del caffè espresso, inteso come caffè realizzato appositamente, cioè al momento e in modo veloce, su espressa richiesta del cliente. Ma questo caffè, seppur “espresso” era molto diverso da quello al quale siamo abituati oggi: era anch’esso come quello della Moriondo, prodotto col vapore, per cui piuttosto bruciato, bollente e nero, senza crema, caratteristica che arriverà oltre quattro decenni dopo. L’invenzione del gruppo erogatore, applicata alle macchine prodotte dal milanese Desiderio Pavoni, viene proposta al pubblico per la prima volta alla Esposizione Internazionale di Milano del 1906 nello stand di Luigi Bezzera e, da quel momento, il settore decolla.
Ora, voltatevi. Guardate la grande foto sul pannello divisorio marrone: sono ritratti gli operai di un’officina in cui è presente la figura dalla quale parte invece la storia di Cìmbali Group. Un giovane Giuseppe Cìmbali, ritratto in piedi a sinistra con le braccia conserte con lo sguardo diretto e fiero verso di noi, in quegli anni è già pioniere fra i pionieri. Infatti, questa foto è un documento storico con una didascalia che ci racconta una storia: nel 1905, Giuseppe Cìmbali era già attivo nel settore, proprio nella realizzazione di quelle macchine che, per la prima volta, sarebbero state presentate, da lì a poco, al mondo.
Inizia qui la sua storia: da un apprendistato in una piccola officina, al lavoro in un settore che lo vedrà diventare orgoglioso protagonista negli anni successivi. Infatti, nel 1912, fonda la sua prima bottega e officina in via Caminadella, in centro a Milano, per la produzione di caldaie per le macchine per caffè prodotte da altri e, successivamente, negli anni ’30, per la propria produzione di macchine.
Ora, guardate la sala davanti a voi e spostatevi a sinistra della parete divisoria: sulla parete, potete vedere alcune foto e documenti. Nella parte centrale potete vedere la fotografia dello stand Bezzera alla Esposizione di Milano del 1906 di cui abbiamo parlato prima e scoprire, nel dettaglio, proprio il signor Luigi in primo piano, appoggiato al bancone, vicino ad un cartello che sancisce la sua collaborazione con Pavoni.
Le foto a tutta parete, ci mostrano invece un’immagine della Esposizione Internazionale con mongolfiere pronte al volo, la Galleria Vittorio Emanuele con i suoi locali storici e una delle prime auto che cominciavano a viaggiare in città, restituendoci un’epoca di grande fermento ed eleganza.
Due parole ora su come venivano gestite le macchine. Abbiamo detto che si tratta di vere e proprie macchine a vapore che potevano essere alimentate a gas, elettricità, ma anche a legna o a carbone. Per garantirne la sicurezza d’uso dovevano essere manovrate da macchinisti dotati di patentino per tenerne sotto controllo vapore e pressione ed evitare che esplodessero.
Per quello che riguarda invece lo stile, ricordiamo che tutte le macchine sono figlie della loro epoca e legano, d’ora in avanti, indissolubilmente, stile e design industriale in un linguaggio armonico.
In questo periodo, erogatrici di un caffè scuro, bollente e privo di crema, molto lontano dall’espresso comunemente noto oggi, sono a colonna e riprendono lo stile liberty o art nouveau: linee curve e sinuose, smalti, decorazioni esotiche a tema vegetale, ispirate alla semisconosciuta pianta del caffè, connotano le macchine degli albori fino al periodo razionalista. Da qui in avanti e per decenni, le macchine sono protagoniste indiscusse sui lussuosi banconi dei caffè. Qui ne potete vedere uno originale del 1929, e degli american bar dell’epoca. Le macchine riflettono lo stile dell’epoca, come un prodotto dell’ingegno italiano che ben presto travalica i confini nazionali, ancora una volta in particolare grazie a un torinese, Pier Teresio Arduino che, negli anni ’20, con le sue macchine dà avvio all’esportazione del “made in Italy” di settore.
Ora potete passare alla seconda sala.
Sala 2
La sala del primo dopoguerra si distingue nettamente dalla precedente per lo stile delle macchine che risente della corrente razionalista dell’epoca.
Dopo la Prima guerra mondiale e il crollo di Wall Street del 1929, i paesi occidentali risentono di gravi problemi in ogni aspetto della vita economica, produttiva e sociale, con gravi conseguenze. Con la crisi finanziaria americana si riducono drasticamente su scala mondiale tutti gli indicatori economici che misurano lo stato di benessere e di progresso dell’economia degli stati. Ogni stato cerca in modo autonomo di arginare la crisi con il protezionismo economico. Per salvaguardare le produzioni interne vengono avviate le prime produzioni autarchiche, realizzate esclusivamente con materie prime locali. È un periodo difficile, complesso, di forzato immobilismo che porta anche l’Italia a sprofondare in un regime che prevede piani di intervento statale, guerre coloniali e autarchia.
In questo contesto, l’intera industria italiana, ad eccezione di quella bellica, subisce una battuta d’arresto. Ma il mondo della macchina per caffè, nella sua nicchia costituita dai pochi consumatori che potevano ambire a questo lusso, continua il suo percorso sotto le spinte di un interessante paradosso. Se infatti a livello nazionale i consumi diminuiscono, in corrispondenza delle grandi realtà urbane si rilevano dei veri e propri picchi di consumo, dettati dalla concentrazione di avventori benestanti che non vogliono rinunciare a un vero espresso. Così i locali pubblici crescono e diventano luoghi d’incontro e di cultura. Il settore delle macchine per caffè conosce una battuta d’arresto tecnologico (funzionano ancora a vapore), ma ci si continua a ritrovare attorno al rito della tazzina di espresso preparata al bancone e servita al tavolo.
Soffermiamoci ora su alcuni dettagli della sala e alcune macchine.
La prima macchina da considerare è anche la prima prodotta da La Cìmbali. Giuseppe Cìmbali in questo periodo introduce sul mercato la sua prima macchina per caffè, La Rapida a sviluppo verticale: la produzione inizia grazie alla acquisizione di una piccola azienda cliente in crisi, la S.I.T.I., che consente al signor Giuseppe di iniziare la propria produzione con tanto di nuovo logo: un triangolo, contenente le lettere OCG (Officina Cìmbali Giuseppe). La macchina si trova all’inizio della sala accanto ad un poster pubblicitario delle varianti di modello realizzate, tra cui anche una a carbone.
Sulla parete di destra si trovano inserite tre vetrine attraverso le quali è possibile vedere l’excursus storico di una parte fondamentale delle macchine per caffè: il portafiltro.
Un insieme di portafiltri esposti in ordine temporale ci porta ad apprezzare i cambiamenti avvenuti nel tempo e legati necessariamente allo sviluppo tecnologico delle macchine.
A inizio ‘900, il portafiltro per l’erogazione di un singolo caffè appare molto più capiente di uno odierno (la materia prima che occorreva per un espresso estratto a vapore era circa il doppio di quella necessaria oggi). Inoltre, aveva fori più ampi poiché la macinatura del caffè era più larga rispetto ad oggi per una granulometria che consentiva alla bassa pressione del vapore di poter attraversare agevolmente il pannello di caffè. I vari portafiltro ci portano a vedere come, oggi, quello per due tazzine sia più ridotto nelle dimensioni e come, allo stesso tempo, i fori si siano infittiti e rimpiccioliti poiché l’estrazione alla pressione consentita dalle attuali tecnologie consente di estrarre il meglio dalla materia prima, fornendo all’alta pressione una barriera più compatta da attraversare.
Nei primi anni Quaranta, sebbene la tecnologia rimanga invariata, inizia a cambiare qualcosa nelle forme: le macchine da verticali cominciano a diventare orizzontali e le prestazioni migliorano: con i gruppi erogatori posizionati tutti sullo stesso lato un solo operatore può gestire, stando “comodamente” nella stessa posizione, l’erogazione di più caffè, diventando così più veloce ed efficiente.
Compare anche un altro accessorio prima impossibile da avere nelle macchine verticali, spesso dotate addirittura di cupole: lo scaldatazze, che attesta la crescente cura per tutte le fasi della preparazione dell’espresso. Lo spazio, solitamente ricavato sopra o a fianco della caldaia collocata orizzontalmente, trova una sua funzionalità sfruttandone il calore: da allora l’espresso non potrà più prescindere da una tazzina ben calda.
In questa sala, al centro potete vedere alcune macchine posizionate una dietro l’altra su una lunga fila di parallelepipedi di marmo bianco: se le guardate bene, sembrano costituire come una vera e propria locomotiva, dove la prima macchina davanti, La Cìmbali Ala, assomiglia molto, nei gruppi erogatori, alla postazione… di un tramviere di Milano! Mentre, se osservate l’ultima della fila, una imponente San Marco 900, scoprirete un piccolo fornelletto dove venivano posizionati i pezzi di carbone per alimentare la macchina, proprio come per le caldaie dei treni a vapore! Si tratta di una macchina ibrida del periodo autarchico, che può funzionare anche a gas e a elettricità, creata per sopperire alla difficoltà di accesso alle fonti energetiche e al contingentamento delle materie prime.
È il periodo in cui le classi più abbienti si permettono il consumo del caffè “vero” (merce sempre più rara) nei locali, mentre quelle più popolari devono accontentarsi dei succedanei o surrogati della ben più preziosa materia prima, con “espressi” a base di cicoria, orzo, segale, ghiande, fichi. Chi può paga un prezzo più alto per non rinunciare a un piacere che sta diventando sempre di più un vero e proprio rito quotidiano.
Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale molte industrie si convertono alla produzione per le attività belliche e gran parte dell’inventiva italica inevitabilmente si blocca, accantonando soluzioni tecnologiche nuove che devono attendere tempi migliori. Una di queste riguarderà in modo rivoluzionario la macchina per caffè, ma dovrà passare quasi un decennio prima di essere realizzata.
Ma ne parleremo nella prossima sala.
Prima però, in questa sala, soffermatevi sull’ultima macchina della sala: la D.P. 47 disegnata da Gio Ponti per la Pavoni. Di questa macchina ne esistono solo due esemplari al mondo: uno è di proprietà di un collezionista privato mentre questo esposto al Mumac è l’unico sempre visibile al pubblico. Si tratta di uno dei primi modelli a sviluppo orizzontale. È conosciuta come “la Cornuta” per la particolare forma degli erogatori posti sopra il corpo centrale cilindrico. Si tratta di un vero capolavoro di design: perfetto connubio tra forme scultoree e innovazione tecnologica, è uno dei pezzi più preziosi per i collezionisti del settore, considerato ancora oggi la più bella macchina per il caffè al mondo.
È stata trovata fortuitamente in un hotel abbandonato del litorale romano e dopo un lungo restauro effettuato dalle Officine Maltoni, è oggi una delle macchine più richieste per prestiti nazionali e internazionali (è stata al Museé des Art Decoratifs del Louvre a Parigi, in Triennale a Milano, al Deutsches Museum di Monaco). Nonostante la bellezza ineguagliabile, la Cornuta nasce però con la tecnologia a vapore in un momento di transizione verso un nuovo metodo d’estrazione che ben presto soppianterà tutti gli altri: la leva.
Per scoprire la nuova tecnologia, potete passare alla terza sala
Sala 3
Subito entrando potete vedere sull’espositore a sinistra un pistone sezionato, posizionato vicino ad una macchina per caffè orizzontale con due caldaie. Si tratta della nuova rivoluzione tecnologica con cui finalmente si arriva al caffè espresso come lo conosciamo oggi: con la “crema”.
È la macchina Gàggia Classica dotata del meccanismo “a leva”, di cui già nel 1936, Rosetta Scorza vedova Cremonese aveva depositato un brevetto dal titolo «Rubinetto a stantuffo per macchina da caffè espresso».
Achille Gàggia, semisconosciuto barista milanese, acquisisce l’invenzione, sperimentandola all’interno del suo Bar Achille, e in seguito sviluppa un suo brevetto, esponendolo per la prima volta alla fiera Campionaria di Milano del 1939. Si tratta del gruppo erogatore della crema caffè (pubblicizzato come sistema «Lampo, l’unico compressore per caffè che funziona senza vapore»). A causa della guerra però tutto si interrompe. Al termine del conflitto, si assiste a un momento unico della storia d’Italia di ripresa economica e sociale tesa all’innovazione.
Il bar diventa luogo di aggregazione e condivisione, non più destinato a un’élite ma ritrovo ideale per tutti, consacrando il caffè al bar come rito sociale che travalica le distinzioni di classe. Sull’onda del benessere e della spensieratezza che attraversano l’Italia dopo gli anni bui della guerra, i bar diventano luoghi sempre più affollati e vissuti. Ci si ritrova anche per guardare la televisione, strumento di aggregazione e cambiamento sociale, ancora rara nelle case degli italiani. Oppure si sfrutta il momento del caffè per sfogliare il giornale, per discutere di sport e di politica, per trascorrere il tempo in compagnia, per dare insomma concretezza a quel concetto di “tempo libero” che solo qualche anno prima era del tutto ignoto alla maggior parte della popolazione.
La vera rivoluzione nelle macchine per caffè espresso, infatti, è l’invenzione della leva. Nel 1948, viene finalmente messo in produzione, da Achille Gàggia, il modello Classica. Per la produzione della macchina, Gàggia si rivolge alle officine FAEMA di Carlo Ernesto Valente, che aveva aperto qualche anno prima la sua Fabbrica Apparecchiature Elettro Meccaniche e Affini. La macchina, dotata di due caldaie, consente, grazie alla leva, di disporre di un’alta pressione e di acqua alla temperatura inferiore ai cento gradi, senza generazione di vapore. Il risultato è straordinario: la bevanda viene ora erogata in poco più di trenta secondi, tutti i sentori di bruciato causati dall’uso del vapore sono scomparsi e per la prima volta viene prodotta la crema caffè, d’ora in poi inscindibile dal concetto di espresso consumato al bar.
Se, per l’odierno consumatore di caffè, crema ed espresso sono un concetto unico, all’epoca questa fu una novità di portata considerevole, tanto che sulle macchine campeggiava la scritta «Crema caffè naturale funziona senza vapore» per invitare i clienti ad assaggiarla.
La corsa di tutte le aziende del settore alla realizzazione di nuove macchine adatte all’estrazione di un caffè crema espresso porta prima FAEMA, con la sua Saturno, e poi La Cìmbali, con la Gioiello, a estrarre, tramite leva e senza vapore, gli oli essenziali del caffè che, con i loro aromi, conferiscono pienezza al gusto della bevanda e, con la loro emulsione, orìginano la crema tipica dell’espresso.
La nuova tecnologia eleva l’espresso a cult e trasforma la figura del “macchinista”, colui che prima azionava la macchina per caffè grazie al suo patentino da fuochista, in “banconista”, cioè esperto utilizzatore della macchina a leva, allora posizionata sul bancone, di fronte al cliente. L’espresso assume nomi nuovi, in funzione della azienda che produce le macchine. Le scritte sui frontalini delle macchine si differenziano per marca, come potete ben vedere in questa sala.
Sulla Gàggia, si trova la scritta Crema caffè naturale. Sulla imponente macchina esposta accanto, è indicato “Infuso Idrocompresso di Caffè”. Si tratta della Faema Saturno, la prima macchina a leva prodotta da Valente dopo la separazione da Gàggia e pezzo unico al mondo.
Ma su tutti, in questi anni, si impone un nuovo termine che identificherà ben presto l’espresso italiano nel mondo: Cìmbalìno. Il termine viene coniato con il lancio della prima macchina a leva della Cìmbali, la Gioiello, presentata dentro a uno scrigno proprio come un gioiello alla Fiera di Milano del 1950. Anche La Cìmbali Gioiello è esposta qui, un poco più avanti sul bancone bianco: vicino alla macchina trovate anche la tipica pubblicità dell’epoca per il Cìmbalìno e, dietro, una accuratissima riproduzione in miniatura della macchina.
Se continuate a seguire il lungo espositore bianco, potete trovare una delle più imponenti macchine prodotte, La Cìmbali Granluce del 1956, ma anche tanti altri modelli interessanti e degni di nota: La San Marco Lollobrigida, La Pavoni Concorso disegnata da Bruno Munari ed Enzo Mari e ribattezzata Diamante per la caratteristica forma, La Cambi Olìmpia dedicata alle Olimpiadi Invernali di Cortina del 1956 e tante altre.
Al centro della sala, è presente anche un bancone d’epoca a marchio Faema dove è possibile rivivere l’atmosfera di un bar anni ‘50.
Ora, girate l’angolo ed entrate nella prossima sala.
Sala 4
Siamo a cavallo fra anni ‘60 e ’70. Dalle due ruote alle auto sportive, dalla povertà alla ricchezza, dagli abiti rammendati ai vestiti alla moda, sono gli anni del boom economico e del benessere diffuso. Anni in cui, dai trionfi di Coppi e Bàrtali dei decenni precedenti, eroi di un paese povero e rurale e di una nazione ancora da inventare, si passa a Merckx, il primo ciclista moderno. Del campione (e della maglia FAEMA da lui indossata) si parla nei bar, dove ci si ritrova per discutere le notizie riportate dalla «Gazzetta» e dalla radio, poi dalla tv.
Caffè e ciclismo, un inscindibile connubio che perdura anche oggi. In questa sala potete trovare alcuni cimeli del periodo più glorioso della storia ciclistica della squadra Faema, team che ha vinto, nel suo periodo d’oro, tutto quanto ci potesse essere da vincere.
In questi anni, comincia la vera e propria industrializzazione del settore delle macchine per caffè, che diventano standardizzate e facilmente assemblabili in linea di montaggio. La produzione passa da artigianale a industriale. Il decennio si apre con una novità introdotta da FAEMA: si tratta del lancio di una macchina per caffè veramente innovativa, che trovate entrando nella sala a sinistra. È il modello Tartaruga (TRR), la cosiddetta «macchina a erogazione continua» del 1960, che, l’anno seguente, si evolve nel modello E61 (nome dato in occasione dell’eclissi di sole avvenuta quell’anno in Italia).
La macchina, che potete vedere in due versioni a due e a quattro gruppi con il suo frontalino riconoscibile e distintivo, è diventata un’icona nel mondo dei bar per estetica e qualità del caffè erogato. È ancora richiesta e prodotta oggi, anche perché l’invenzione della elettropompa volumetrica, oltre a influire positivamente sull’estrazione della bevanda con la crema, consente all’operatore un notevole risparmio di fatica. Tutto il pesante e pericoloso lavoro richiesto fino ad allora per le manovre da effettuare su pistone e leva, viene sostituito dal semplice utilizzo di una levetta che alleggerisce e semplifica il lavoro del o della barista.
Di fronte alla e61, potete invece vedere un’altra macchina degna di nota; La Cìmbali Pitàgora, disegnata nel 1962, dai fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni, architetti e designer, che vengono insigniti per questo progetto del Compasso d’Oro: per la prima e unica volta nella storia, una macchina per caffè espresso professionale si aggiudica il prestigioso riconoscimento.
Nella teca a inizio corridoio avete la possibilità di vedere il Premio e alcuni documenti legati alla premiazione, fra cui, la motivazione della giuria. Per la produzione di Pitàgora e per sopperire alle esigenze di uno spazio più ampio e adatto alla produzione in serie, La Cìmbali si trasferisce in quegli anni da Milano a Binasco.
Ma gli anni a seguire sono anni difficili, passati alla storia come gli Anni di Piombo. Il grigiore del decennio paradossalmente è compensato dalle nuove forme, materiali e colori che si impongono anche nelle macchine per caffè.
Nell’ambito del design la cultura pop si impone, introducendo in tutti i settori colori sgargianti tesi a esprimere una dirompente affermazione di sé. L’ultima, grande rivoluzione che investe il settore delle macchine per caffè è quella meno ricercata, se vogliamo, ma senz’altro di maggiore impatto sui consumatori: un nuovo punto di vista, un cambio di relazione. Il lavoro e la società impongono ritmi sempre più frenetici, il caffè si consuma al volo e si favorisce una maggiore produttività del bancone, con più spazio per servire i clienti. Le macchine vengono confinate nello spazio del retro-banco, costringendo il barista a dare le spalle al cliente nella preparazione. Perde spessore la relazione, facilitatrice nei decenni precedenti di un consumo lento e “sociale”, garanzia di una qualità di scambio barista/avventore ben più significativa del semplice servizio.
È solo uno spostamento di qualche metro, che imprime però una svolta epocale: l’estetica cambia totalmente, la ricerca si concentra sui gruppi di erogazione, i volumi si ridimensionano e tendono alla compattezza. Esposta, qui, quasi in fondo alla sala una macchina rossa attira l’attenzione: La Cìmbali M15, disegnata da Rodolfo Bonetto, anticipa questa tendenza. È il primo modello che assume una forma dei fianchi a “C” per consentire di compattare i volumi pur garantendo più spazio di manovra laterale al barista. La caratteristica "C" laterale diventa così simbolo iconico del brand LaCìmbali sin dagli anni '70, un elemento di design che incarna tradizione e innovazione, rendendo immediatamente riconoscibile il marchio.
Potete ora accedere alla prossima sala.
Sala 5
Negli anni Ottanta, l'Italia vive una fase di ripresa economica e sociale dopo le difficoltà degli anni Settanta. Vari fattori, come la riduzione dei prezzi del petrolio, il calo del dollaro, la diminuzione dei costi della manodopera, il sostegno pubblico alle imprese e le innovazioni tecnologiche, contribuiscono a questa crescita. Anche le imprese pubbliche migliorano la loro situazione. Nel 1986, l'Italia supera la Gran Bretagna in termini di PIL e reddito pro capite. La società italiana, spinta dai giovani, adotta uno stile più colorato e internazionale, ispirato a inglesi e americani, ma con un'identità propria.
Moda e design trainano l’economia e il made in Italy si afferma in un mondo che sta diventando sempre più globalizzato. Anche i produttori di macchine per caffè si affacciano sui mercati internazionali, ottenendo un successo pressoché immediato. È il periodo in cui l’industria elettronica italiana, insieme a quella dei primi computer, conquista i mercati. Lo stesso avviene nel settore delle macchine per caffè professionali, con un’eleganza, una personalità e uno stile unico, grazie alle creazioni dei maggiori designer internazionali.
L’Italia diventa sempre più rappresentativa come espressione di stile e bien vivre, dove il rito del caffè da bar e del cappuccino acquistano popolarità anche all’estero.
Le macchine per caffè non perdono l’occasione di imporsi come simbolo della cultura dell’espresso e perfetta concretizzazione del celebrato design italiano, apparendo nei locali di tutto il mondo: l’elettronica porta a una semplificazione di uso unita a cura ed eccellenza prima inarrivabili.
Con FAEMA Tronic, disegnata nel 1983 da Ettore Sottsass e Aldo Cibic, nasce la prima macchina elettronica che, con la sua pulsantiera, consente di dosare la quantità di caffè erogato. L’apertura verso mercati in cui la specializzazione del personale non è paragonabile a quella italiana e l’automatismo è più diffuso, accelera lo sviluppo delle macchine “superautomatiche” ad automatismo integrale, in grado di erogare un intero menu di bevande a base di caffè e latte fresco semplicemente premendo un tasto: l’utilizzatore diretto può garantire un prodotto di qualità costante e, così, in ogni angolo della Terra si può gustare l’espresso “come si fa in Italia”.
In questa sala si mescolano elettronica, gioco, colori, accessori, immagini e macchine che hanno rappresentato un’epoca che travalica gli anni ’80 fino ai ’90.
Nel 1991 l’ufficio tecnico FAEMA, in collaborazione per la parte estetica con Giugiaro Design, elabora un prodotto evoluto nel settore delle macchine tradizionali: la E91. Potete ammirarne il design che si ispira alle linee armoniose dello storico modello E61, così da identificare un elemento di continuità con la tradizione dell’azienda.
La Cìmbali lancia sul mercato, all’inizio degli anni Novanta, la superautomatica M50 Dolcevita, qui esposta, cui è possibile affiancare un modulo frigo per la corretta conservazione del latte, equipaggiando anche lo scaldatazze con uno sterilizzatore a lampada UV a garanzia di un’igiene ottimale.
L’avvento dell’elettronica, dunque, è sempre più determinante nello sviluppo della macchina per caffè espresso, perché consente di tenere sotto controllo numerosi parametri, migliorare le prestazioni e aprirsi, nei successivi decenni, a diverse possibilità evolutive, che possiamo cominciare ad apprezzare nella prossima sala.
Sala 6
Passando nella sesta sala si passa temporalmente nel nostro millennio, dove le parole d’ordine diventano flessibilità e responsabilità. Sulle pareti della sala, le grandi fotografie ci riportano a ripercorrere gli ultimi due decenni della contemporaneità, alla nascita dell’euro, alla consapevolezza della necessità di sostenibilità, alle grandi innovazioni tecnologiche, come il telescopio spaziale James Webb.
La diffusione del consumo di caffè a livello mondiale e i cambiamenti nelle dinamiche sociali, influiscono sulle modalità di consumo della bevanda sociale per eccellenza. L’avvento del nuovo millennio, tinto da grandi aspettative e da grandi preoccupazioni, ha cambiato drasticamente la visione e l’assetto mondiale: dalle Torri Gemelle alle crisi economiche, per giungere fino all’emergenza del cambiamento climatico e della pandemia, il passo è stato tanto breve quanto significativo.
La tecnologia, con velocità esponenziale, è andata in parte a erodere cultura e rapporti interpersonali, ma non certo il piacere della tazzina di caffè. I bar non sono più l’unico e indiscusso luogo di aggregazione: un buon caffè o un cappuccino si consumano anche nella sala d’attesa di una stazione o di un aeroporto, in una libreria o in una boutique, ovunque nel mondo. I primi anni del nuovo millennio vedono nelle architetture e negli ambienti comuni un ritorno al minimalismo.
Minimalismo che è declinato anche nel mondo delle macchine per caffè: linee pulite, eleganti ed essenziali, materiali quasi satinati e d’impatto caratterizzano il design del primo decennio del Duemila, rivolto a una società sempre più veloce ed esigente.
Le macchine professionali diventano sempre più flessibili e tecnologicamente avanzate, con interfacce utenti estremamente semplici, anche touch, che coniugano il risparmio di energia con elevate prestazioni, attestando una crescente consapevolezza dell’ambiente come luogo non solo da vivere, ma anche da tutelare.
Proprio per veicolare la conoscenza e la cultura del caffè e delle macchine che lo erogano, nel 2012 Cìmbali Group inaugura il MUMAC, unendo gli archivi della famiglia Cìmbali e del maggior collezionista privato al mondo, Enrico Maltoni, raccogliendo oggetti che da oltre un secolo contraddistinguono la nostra quotidianità e documenti che contribuiscono a ricostruire la storia di un intero settore del made in Italy.
Cìmbali Group ha portato sul mercato macchine il cui design è un gioco di citazioni, come nel caso della Cìmbali M100, posta vicino al video in sala, sintesi della concezione di design industriale, disegnata da Valerio Cometti di V12 Design, la macchina si impone nel nuovo millennio, con linee sobrie di eleganza e funzionalità che celano tecnologie di altissimo livello. Un tributo alla capacità di osare nelle forme va riconosciuto alla macchina Faema Emblema, design Giugiaro.
Le macchine di oggi sono super tecnologiche sia nella loro espressione tradizionale (come M100 Attiva e FAEMA E71E, riconosciuta degna di entrare nell’Index ADI 2019 e vincitrice del Red Dot Design award 2019), sia in quella superautomatica (come la premiata per il design La Cìmbali S30 con il Red Dot Design Award nel 2016 o la S15 smart nell’uso e nella tecnologia) che potrete vedere nella prossima sala.
Sala 7
Nell’ultima sala del museo, il Lab, memoria e futuro si mescolano nelle icone del tempo. Fra nuove e, allo stesso tempo, antiche galassie di conoscenze da esplorare, nel passato si cela il futuro. Qui vi accolgono vere e proprie isole tematiche, portandovi in dimensioni passate, presenti e future che si mescolano tra loro per far comprendere le sfide affrontate nel tempo dall’azienda, tra spunti tecnologici, innovazioni, responsabilità sociale e culturale d’impresa e traguardi raggiunti.
La rappresentazione dell’unione tra presente, passato, futuro è connotata dalle fotografie alle pareti, provenienti dai telescopi Hubble e Webb, che ci portano direttamente dentro ad un passato così remoto da non essere neppure immaginabile, ma ottenute grazia ad una tecnologia così innovativa da sfiorare il futuro.
Un nuovo spazio dedicato al legame infinito tra passato, presente e futuro attraverso sei isole tematiche che illustrano alcuni tra i temi più importanti per la nostra storia e la mission aziendale.
La prima isola è quella dedicata a Faema E61: la storia e il mito.
Dal 1961, è la macchina più diffusa e longeva, qui esposta nelle due versioni realizzate per il suo 60° anniversario, nel 2021, e nella versione dedicata al Giro d’Italia, di cui dal 2022 Faema ha ripreso ad essere sponsor.
La seconda, racconta la differenza tra macchine tradizionali e superautomatiche.
La differenza c’è da oltre 50 anni. La Pitàgora, che da 60 anni detiene l’imbattuto primato di macchina per caffè vincitrice del Compasso d’Oro, è una macchina “tradizionale”, dove l’operatore è chiamato a compiere tutte le operazioni per estrarre il caffè, dalla macinatura al servizio; la Superbar, nata qualche anno dopo e basata sul medesimo design, nel 1969 è fra le primissime macchine superautomatiche, cioè quelle macchine dove la richiesta della bevanda avviene premendo semplicemente un tasto che da avvio a tutte le operazioni di preparazione.
Nella terza isola, sono esposti alcune produzioni editoriali aziendali del passato.
Strumento di comunicazione e divulgazione, nascono per diffondere le informazioni dell’azienda nell’azienda o al suo esterno, diventando spaccato della realtà.
In quella successiva, vicino alla Cìmbali S15, è esposto il “naso elettronico”, oggetto che tra elettronica, ingegno e chimica, trasforma l’innovazione in strumento utile. L'innovativo software realizzato da Cìmbali Group in collaborazione con uno spin-off dell’Università di Brescia, nel 2021 vince il Premio Innovazione Smau. Per scoprire come funziona e a cosa serve è sufficiente inquadrare il QrCode che trovate sulla didascalia.
Prima dell’isola successiva, trovate una sorta di cubo nero. Questo cubo “magico” racchiude in sè presente, passato e futuro: schiacciando i vari pulsanti, alcuni video mostrano il passato dell’azienda (in un video si incontra il fondatore Giuseppe Cìmbali, in un altro, la costruzione del sito produttivo a Binasco, in un altro ancora, l’archivio storico digitalizzato), il suo presente (con il design di M200) e l’attenzione verso il futuro con un focus sulla sostenibilità.
La magia però si compie avvicinandosi allo schermo: guardando oltre i video e attraverso lo schermo, si intravedono oggetti di riferimento per l’azienda: li vedete?
Insomma, qui digitale e analogico si uniscono, in un unico oggetto.
Passate ora all’isola dedicata a macine e macinadosatori.
Quattro macinadosatori per due brand: La Cìmbali, dal Modello 4/A del 1962 all’odierno Elective; Faema, dall’FP del 1955 a Grounbraker di oggi. Dall’artigianalità alla produzione in serie con una tecnologia per macine sempre più precise. Fino ad arrivare alla macinatura integrata nelle macchine, come nella superautomatica S30 qui esposta, vincitrice del premio Red Hot Award (design Valerio Cometti).
In quella successiva si parla di personalizzazione: la flessibilità e la possibilità di personalizzare le mascherine della nuova Faema President, così come quella di altre macchine, rendono le macchine sempre più inseribili in modo originale e personalizzato in ogni ambiente.
Nel penultimo espositore, la sezione dedicata al domestico: ieri con Baby Faema, oggi con Faemina dotata di un gruppo professionale, il brand Faema porta al mercato domestico un prodotto di altissimo livello per un espresso come al bar.
Nell’ultima isola, l’eccellenza del brand si esprime attraverso il rebranding della macchina M200, attualmente in prestito per la mostra Italia Geniale durante il tour mondiale dell’Amerigo Vespucci, fino al 2025. La M200, realizzata nel 2021, è la macchina ammiraglia di La Cìmbali, che rappresenta il nuovo posizionamento del brand e una nuova storia di innovazione e design. Con orgoglio, Cìmbali Group e MUMAC sono stati selezionati per essere protagonisti della mostra Italia Geniale. Design Enables - Bellezza, originalità, creatività del design industriale apprezzato universalmente, allestita in occasione del tour mondiale dello storico veliero, simbolo ed emblema dell’italianità nel mondo.
E ora scostate quei mille fili rossi che vedete scendere dalla parete rossa centrale: qui pulsa il cuore del museo dove Heritage e futuro si incontrano in un’opera, una installazione sospesa tra tecnologia, arte e design.
Di fronte trovate l’esploso de La Cìmbali M100, la macchina del Centenario.
Qui potete davvero comprendere la complessità nascosta dietro quella che, solo apparentemente, è una semplice tazzina di caffè. Anima tecnologica, innovazione, design rivelano tutte le mani e le menti di una lunga e complessa filiera fatta di materia prima, brevetti, creatività e imprenditorialità.
Si dice che per avere un caffè nella propria tazzina la materia prima passi attraverso duemila mani: la macchina ha la responsabilità di rendere onore e valore al lavoro di una lunga filiera che ci consente ogni giorno di poter gustare il nostro amato espresso.
Vi ringraziamo per aver ascoltato questa storia di passione e di eccellenza italiana e vi invitiamo a rimanere in contatto con noi iscrivendovi alla nostra newsletter e scoprendo i nostri eventi sul sito mumac.it e sui nostri social.
Vi aspettiamo!
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MUMAC – Museo della Macchina per Caffè Cimbali Group
Itinerario Speciale MUMAC - Giornate FAI d'Autunno 2024
Lingua dell'itinerario:
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