I capolavori del Duomo di Firenze
Un percorso pensato per gli appassionati d’arte, alla scoperta dei più grandi capolavori pittorici, scultorei e architettonici del complesso di Santa Maria del Fiore. Un viaggio immersivo tra genialità, innovazione e bellezza senza tempo.
Museo: Duomo di Firenze - Basilica Santa Maria del Fiore
Benvenuti al Duomo di Firenze
La Basilica di Santa Maria del Fiore, cattedrale di Firenze, è uno dei capolavori architettonici medievali più illustri d'Europa. Si distingue per le sue strutture ardite e la sontuosità delle sue decorazioni. Un tesoro così straordinario che è stato riconosciuto patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1982. La cattedrale metropolitana di Santa Maria del Fiore, comunemente nota come Duomo di Firenze, è la principale chiesa fiorentina e simbolo della città. Sorge sulle fondazioni dell'antica chiesa di Santa Reparata, in un punto della città che ha ospitato edifici di culto fin dall'epoca romana. La costruzione, ordinata dalla Signoria fiorentina, iniziò nel 1296 e terminò dal punto di vista strutturale nel 1436. Il Duomo è uno dei più grandi capolavori dell'arte gotica e del primo Rinascimento italiano. Con i suoi 160 metri di lunghezza, 43 metri di larghezza e 90 metri nella navata trasversale, è una delle chiese più grandi della cristianità. L'altezza interna della cupola raggiunge i 100 metri. La Basilica rappresenta un simbolo della ricchezza e del potere della capitale toscana durante il XIII e XIV secolo, e il suo nome deriva dal giglio, simbolo di Firenze e dell'antico nome della città chiamata "Fiorenza". Prepariamoci a scoprire insieme questo straordinario monumento che racconta secoli di storia, arte e fede.
Cupola del Brunelleschi e il Giudizio Universale
Siamo davanti a una delle più grandi imprese architettoniche del Rinascimento: la cupola del Duomo di Firenze, progettata da Filippo Brunelleschi e costruita tra il 1420 e il 1436. Con i suoi 45 metri di diametro, è tuttora la più grande cupola in muratura mai realizzata e segna una svolta epocale nella storia dell’architettura. Brunelleschi affrontò una sfida allora ritenuta impossibile: coprire l’enorme spazio dell’ottagono centrale senza l’uso di armature lignee, fondamentali nelle costruzioni a volta. Ideò così una soluzione rivoluzionaria: una doppia calotta autoportante, con la struttura interna portante e quella esterna a funzione protettiva e decorativa. Il sistema costruttivo prevedeva mattoni disposti “a spina di pesce”, catene in pietra e ferro per contenere le spinte laterali, e un’organizzazione dei lavori sorprendentemente moderna. Durante la salita alla cupola, si attraversano i due ballatoi interni, da cui si possono osservare da vicino gli otto oculi del tamburo, decorati da splendide vetrate istoriate realizzate da maestri come Donatello, Ghiberti, Andrea del Castagno e Paolo Uccello. Ma il momento più spettacolare è l’incontro con l’immenso affresco del Giudizio Universale, che riveste l’interno della cupola su una superficie di oltre 3.600 m²: è la più grande decorazione a fresco mai realizzata. Forse già Brunelleschi aveva pensato a un rivestimento musivo per la sua cupola, ma solo nel 1572 Cosimo I de’ Medici incaricò Giorgio Vasari, ormai anziano, di dipingerne l’interno. Vasari realizzò i cartoni preparatori nel convento di Santa Maria Novella e iniziò a dipingere i registri sommitali, a circa 90 metri d’altezza. Morì però due anni dopo, seguito poco dopo da Cosimo. L’erede al trono, Francesco I de’ Medici, affidò il completamento dell’opera a Federico Zuccari. Zuccari modificò l’impostazione originaria: se Vasari si era ispirato a Michelangelo, lui scelse uno stile più vicino a Raffaello, meno dettagliato ma più teatrale e leggibile da lontano, rinunciando alle raffinatezze pittoriche in favore di un forte impatto visivo. Il ciclo raffigura oltre 700 figure, tra cui Cristo in Gloria, angeli, santi, dannati, mostri e anche personaggi storici del tempo come Vasari, Giambologna, membri della corte medicea e lo stesso Zuccari. Celebre è la scena dell’Inferno, ispirata agli affreschi di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto, con diavoli inquietanti e composizioni drammatiche. L’opera fu completata nel 1579 e suscitò reazioni contrastanti: molti ne rimasero impressionati, altri la giudicarono un’invasione dell’armonia architettonica di Brunelleschi. Il dibattito fu acceso e diede origine persino a versi satirici che circolarono per la città.
Portale della Mandorla
Sulla fiancata nord della Cattedrale, affacciata sull’attuale via Ricasoli, si apre una delle porte più affascinanti e significative del Duomo di Firenze: il Portale della Mandorla. Realizzato tra il 1391 e il 1423, rappresenta una delle opere più emblematiche del passaggio tra il Gotico e il primo Rinascimento. Il nome deriva dalla splendida raffigurazione nel timpano dell’Assunzione della Vergine, racchiusa in un’aureola a forma di mandorla — simbolo tradizionale di purezza, eternità e divinità. Questo portale non è solo un accesso secondario alla chiesa, ma un autentico capolavoro scultoreo, frutto del lavoro di più artisti di altissimo livello: Giovanni d’Ambrogio, Donatello, ma soprattutto Nanni di Banco, che vi dedicò quasi sette anni di lavoro fino alla sua morte nel 1421. Le sculture furono assemblate in loco dai suoi collaboratori, completando un’opera che testimonia il fermento artistico e intellettuale di quegli anni. L’importanza storica del Portale della Mandorla risiede anche nel suo linguaggio artistico: qui, per la prima volta, si sperimentano elementi decorativi ispirati all’antichità classica, come drappeggi realistici, anatomie studiate, e una narrazione più naturale e dinamica. È un esempio perfetto di come la scultura sia stata il primo linguaggio del Rinascimento, anticipando le rivoluzioni pittoriche e architettoniche. Un dettaglio curioso si trova proprio nel bassorilievo dell’Assunzione: nell’angolo inferiore destro, si può notare un piccolo orso che si arrampica su un albero, un elemento enigmatico e forse ironico, attribuito alla mano di Nanni di Banco. Questo particolare ha stimolato la fantasia degli studiosi e aggiunge un tocco umano e quasi giocoso a un’opera altrimenti solenne. Il Vasari, attribuì erroneamente la porta a Jacopo della Quercia, un segno di quanto fosse difficile già allora distinguere le paternità artistiche in un contesto tanto ricco di collaborazioni e innovazioni. L’equivoco, pur corretto dagli studi successivi, ci ricorda quanto fosse intensa e, a volte, competitiva la scena artistica fiorentina di inizio Quattrocento.
Le Porte del Battistero di San Giovanni
Il Battistero di San Giovanni è ornato da tre celebri porte bronzee che costituiscono un vero e proprio museo a cielo aperto della scultura rinascimentale fiorentina. La più celebre è la Porta Est, soprannominata “Porta del Paradiso”, realizzata da Lorenzo Ghiberti tra il 1425 e il 1452, su commissione dell’Arte di Calimala. I dieci grandi pannelli rettangolari raffigurano scene dell’Antico Testamento, con episodi come la Creazione di Adamo ed Eva, il Sacrificio di Isacco, Mosè sul Sinai e Salomone e la Regina di Saba. Ghiberti impiegò tecniche innovative per il rilievo, adottando un uso magistrale della prospettiva centrale e della narrazione continua, che danno profondità e fluidità alle scene. I personaggi emergono con eleganza plastica, e l’intera superficie è arricchita da elementi architettonici e paesaggistici di grande raffinatezza. Secondo il Vasari, Michelangelo, vedendola completata, avrebbe esclamato che era “degna di essere la porta del Paradiso” – da cui il soprannome rimasto in uso fino a oggi. Accanto a questa, la Porta Nord, anch’essa opera di Ghiberti, mostra scene del Nuovo Testamento in un ciclo più tradizionale ma già segno del passaggio dal gotico al Rinascimento. La più antica è la Porta Sud, scolpita da Andrea Pisano tra il 1330 e il 1336, con ventotto formelle dedicate alla vita di San Giovanni Battista, patrono di Firenze, ancora influenzate dal gusto gotico francese.
Museo dell'Opera del Duomo
Fondato nel 1891, il Museo dell’Opera del Duomo è un luogo imprescindibile per chi vuole comprendere la storia e la grandezza artistica del complesso monumentale di Santa Maria del Fiore. Qui sono custodite le opere originali che un tempo ornavano il Duomo, il Campanile e il Battistero, rimosse nel tempo per motivi conservativi. Il museo è organizzato in spazi moderni e suggestivi, tra cui una spettacolare ricostruzione a grandezza naturale della facciata trecentesca del Duomo, mai realizzata nella sua forma originaria. Davanti a questa imponente ricostruzione sono disposte le statue scolpite da Arnolfo di Cambio, il primo architetto della cattedrale, e dai suoi successori. Tra i capolavori conservati spiccano il Profeta Abacuc di Donatello (detto "Zuccone" per la testa glabra), la dolente Maddalena penitente, sempre di Donatello, e le raffinate cantorie scolpite da Luca della Robbia e Donatello, veri e propri manifesti della gioia e della grazia del primo Rinascimento. Uno dei punti culminanti della visita è la Pietà Bandini di Michelangelo, un’opera intensa e drammatica, pensata per la sua tomba. Michelangelo, ormai anziano, scolpì questa composizione struggente in cui si ritrasse nelle vesti di Nicodemo. L’opera fu abbandonata e successivamente restaurata, ma resta una delle testimonianze più intime e tormentate della sua poetica.
La Pietà Bandini di Michelangelo
La Pietà Bandini, anche conosciuta come Pietà di Firenze, è un'opera tarda di Michelangelo, scolpita tra il 1547 e il 1555 circa. Si trova oggi nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. La scultura, alta più di due metri, raffigura il corpo di Cristo morto sorretto dalla Madonna, da Maria Maddalena e da un uomo anziano identificato tradizionalmente con Nicodemo — nel cui volto molti riconoscono un autoritratto dello stesso Michelangelo. L’opera fu concepita non per una committenza pubblica, ma per la tomba personale dell’artista, che all’epoca si trovava a Roma. Michelangelo, ormai in età avanzata, scelse un marmo imperfetto, già segnato da venature e difetti che resero il lavoro più difficile. Durante l'esecuzione, frustrato da problemi tecnici e forse anche da un senso di fallimento personale, Michelangelo cercò di distruggere la scultura, colpendola con un martello. Il blocco fu poi restaurato e integrato da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino e allievo di Michelangelo. L’opera è intrisa di spiritualità e intensità emotiva: i volti e i corpi, scolpiti con grande forza espressiva, trasmettono un senso di dramma e di meditazione sul dolore e sulla redenzione. A differenza della Pietà vaticana, giovanile e idealizzata, qui il tono è più cupo e la composizione più complessa. La Pietà Bandini è oggi considerata una delle opere più toccanti e profonde della vecchiaia di Michelangelo, un confronto diretto con la morte e con la salvezza, scolpito nella pietra da un uomo che si preparava a lasciare il mondo,
La Maddalena Penitente di Donatello
La Maddalena Penitente è una scultura lignea realizzata da Donatello intorno al 1453–1455, negli ultimi anni della sua vita. È conservata oggi nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, anche se originariamente si trovava nel Battistero di San Giovanni. L'opera è intagliata nel legno di pioppo e in parte dorata, e raffigura Maria Maddalena in età avanzata, in atteggiamento di profondo raccoglimento e penitenza. Questa scultura rompe radicalmente con gli ideali di bellezza classica e con l’equilibrio rinascimentale. Donatello rappresenta la Maddalena consunta, emaciata, con lunghi capelli spettinati che le coprono il corpo al posto delle vesti, secondo una tradizione iconografica legata alla sua vita da eremita nel deserto. Le mani giunte in preghiera, il volto scavato e sofferente, lo sguardo intenso e rivolto verso l’alto, trasmettono un forte senso di umanità e spiritualità. L’opera fu particolarmente apprezzata per il suo realismo drammatico e la straordinaria forza espressiva. Giorgio Vasari stesso ne parlò con ammirazione, riconoscendone l’impatto emotivo e la novità stilistica. La Maddalena Penitente è oggi considerata uno dei capolavori assoluti della scultura del Quattrocento, un esempio potente di come l’arte possa rappresentare la dimensione interiore e spirituale dell’essere umano, andando oltre l’aspetto fisico e l’ideale estetico.
Le Cantorie di Donatello e Luca della Robbia
Le Cantorie di Donatello e Luca della Robbia sono due tribune marmoree scolpite tra il 1431 e il 1439 per l'interno della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. Originariamente collocate ai lati dell’altare maggiore, avevano la funzione di ospitare il coro durante le celebrazioni liturgiche. Oggi sono conservate presso il Museo dell’Opera del Duomo. Sebbene simili per dimensioni e struttura architettonica – entrambe poggiano su mensole ed erano pensate come balconate sospese – le due cantorie esprimono visioni artistiche profondamente diverse. La Cantoria di Donatello, realizzata tra il 1433 e il 1439, è un'opera rivoluzionaria per il suo tempo. Donatello scolpisce una serie di putti danzanti e musicanti in un dinamismo quasi esplosivo. Le figure sembrano muoversi con energia e spontaneità, accompagnate da drappi che ondeggiano nel vento. Il rilievo è molto vario: si passa da zone appena accennate ad altre fortemente scolpite, in un effetto quasi pittorico. L'artista rompe la simmetria e introduce un senso di vitalità che anticipa il linguaggio manierista. La Cantoria di Luca della Robbia, realizzata tra il 1431 e il 1438, si distingue per una composizione più equilibrata e armoniosa. I rilievi raffigurano fanciulli cantori, disposti ordinatamente in scene ispirate al Salmo 150, che celebra Dio con strumenti e canti. Le figure sono idealizzate e serene, e il rilievo è più regolare, in linea con l’estetica classica e razionale del primo Rinascimento. Il confronto diretto tra queste due opere, oggi affiancate nel museo, offre una straordinaria testimonianza delle due anime dell’arte rinascimentale fiorentina: da un lato l’espressività dinamica di Donatello, dall’altro l’equilibrio e la misura di Luca della Robbia.
Dante Alighieri con Firenze e i Regni della Divina Commedia di Domenico Michelino
Questo celeberrimo dipinto, una tempera su tela applicata su tavola, è una delle rappresentazioni più iconiche di Dante Alighieri. Fu commissionato dal governo fiorentino a Domenico di Michelino nel 1465, in occasione del bicentenario della nascita del poeta, ed è collocato sulla controfacciata della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, sopra la porta centrale. Il progetto fu realizzato su disegno di Leon Battista Alberti e accompagnato da un’iscrizione latina di Cristoforo Landino, illustre umanista e commentatore della Divina Commedia. Dante è raffigurato al centro della scena, con tunica e cappello rosso, corona d’alloro sul capo e tratti somatici conformi alla tradizione iconografica: naso aquilino, lineamenti affilati ed espressione austera. Tiene nella mano sinistra un esemplare aperto della Divina Commedia, da cui si sprigionano raggi dorati, simbolo della luce divina contenuta nell’opera. Con la destra indica l’itinerario dei tre regni ultraterreni: a sinistra, l’Inferno, raffigurato come un imbuto a gironi concentrici con Lucifero al fondo; al centro, il Purgatorio, una montagna con sette cornici, sormontata dal Paradiso Terrestre; in alto, la Rosa dei Beati, evocazione del Paradiso celeste. A destra, si apre la veduta di Firenze, irradiata dalla luce del poema: la città è rappresentata con straordinaria accuratezza nei suoi monumenti simbolici, come la Cupola del Brunelleschi, il Campanile di Giotto, il Palazzo della Signoria, il Bargello e le torri della Badia Fiorentina e di San Pier Scheraggio. Dei molti ritratti antichi di Dante, questo è certamente il più monumentale e complesso dal punto di vista iconografico. Il distico in latino lo proclama "nume della patria", elevandolo non solo a sommo poeta, ma anche a teologo ispirato, quasi un profeta. La luce che emana dal libro ricorda infatti l’iconografia dei santi dottori e degli evangelisti, alludendo al fatto che Dante scrisse ispirato dalla Provvidenza e mosso da una missione salvifica, come lui stesso dichiarò nel poema. Il dipinto ha anche un forte significato politico e storico: sebbene Dante fosse morto in esilio a Ravenna nel 1321, Firenze cercò più volte di riavere le sue spoglie, anche tentando senza successo il loro trafugamento. Quest’opera rappresenta quindi una sorta di riconciliazione simbolica: un gesto con cui la città intende riabilitare moralmente il suo figlio più illustre, sancendone l’immortalità attraverso l’arte. In questo modo, l’opera celebra non solo la grandezza letteraria di Dante, ma anche la Firenze umanista del Quattrocento, che, attraverso la cultura e l’arte, cerca di sanare le ferite della storia.
Il Monumento funebre a Filippo Brunelleschi
Nella cripta del Duomo, integrata nei resti dell’antica basilica paleocristiana di Santa Reparata, si trova il monumento funebre di Filippo Brunelleschi, il geniale architetto che progettò la Cupola, rivoluzionando l’architettura occidentale. La lapide funeraria è sobria ed essenziale, in linea con il carattere schivo e riservato dell'artista, e riporta una breve iscrizione in latino che celebra il suo ingegno. Situata non lontano dalla tomba di Giotto e di altri artisti, testimonia il riconoscimento postumo da parte della città a chi ha mutato per sempre il volto di Firenze. L’ambiente in cui si trova – la cripta – è esso stesso carico di significati: tra mosaici pavimentali, sepolture antiche e murature stratificate, si percepisce la continuità tra la Firenze romana, medievale e rinascimentale. È un luogo raccolto, ideale per riflettere sulla grandezza di Brunelleschi e sulla sua visione architettonica, che unisce conoscenza classica e audacia tecnica.
La Lanterna della Cupola
La lanterna posta sulla sommità della cupola di Santa Maria del Fiore è il coronamento simbolico e strutturale del progetto di Filippo Brunelleschi. Anche se l’architetto morì nel 1446, il modello ligneo e i disegni lasciati da lui permisero a Michelozzo e Antonio Manetti di completarla nel 1461, rimanendo fedeli al suo progetto originale. Alta oltre 21 metri, la lanterna ha una forma ottagonale, in continuità con la struttura della cupola sottostante, e presenta una serie di finestre ogivali che illuminano l’interno. È decorata con elementi scultorei, pinnacoli e nervature gotiche, e sormontata da una sfera in rame dorato realizzata da Andrea del Verrocchio nel 1471, su cui poggia una croce. Oltre alla sua funzione simbolica – rappresenta l’ascensione spirituale, la luce divina che guida i fedeli – la lanterna ha un’importanza strutturale cruciale: il suo peso aiuta a mantenere stabile la cupola grazie alla pressione esercitata verso il basso. Visibile da tutta Firenze, la lanterna è il punto più alto della cattedrale e una delle icone architettoniche della città. La sua audacia progettuale è un testamento eterno alla visione rivoluzionaria di Brunelleschi.
Duomo di Firenze - Basilica Santa Maria del Fiore
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Lingua dell'itinerario:
Benvenuti al Duomo di Firenze
Cupola del Brunelleschi e il Giudizio Universale
Portale della Mandorla
Le Porte del Battistero di San Giovanni
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La Pietà Bandini di Michelangelo
La Maddalena Penitente di Donatello
Le Cantorie di Donatello e Luca della Robbia
Dante Alighieri con Firenze e i Regni della Divina Commedia di Domenico Michelino
Il Monumento funebre a Filippo Brunelleschi
La Lanterna della Cupola
I capolavori del Duomo di Firenze
Duomo di Firenze - Basilica Santa Maria del Fiore
Un percorso pensato per gli appassionati d’arte, alla scoperta dei più grandi capolavori pittorici, scultorei e architettonici del complesso di Santa Maria del Fiore. Un viaggio immersivo tra genialità, innovazione e bellezza senza tempo.
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