Itinerario completo
Questo itinerario è dedicato alla storia e alla produzione della conserva di pomodoro.
Museo: Museo del Pomodoro
01. Il prodotto
Questa sezione descrive la preparazione della conserva di pomodoro.
La preparazione della conserva risulta semplice nei suoi princìpi – scottatura, setacciatura e pastorizzazione – ma diviene complessa e laboriosa nel momento in cui si lavorano quantità elevate di pomodoro. La lavorazione può essere suddivisa in sette fasi: cernita e mondatura, lavaggio, scottatura, setacciatura o spremitura, pastorizzazione, confezionamento, condizionamento. Pur nella diversa modalità di esecuzione, questi passaggi convivono sia nella preparazione casalinga che nella produzione industriale del prodotto. Cernita e mondatura La lavorazione ha inizio con la cernita e mondatura dei pomodori, con l’eliminazione dei frutti avariati e l’eliminazione dei pedicelli. Lavaggio Si esegue immergendo ripetutamente il pomodoro in vasche colme d’acqua e sottoponendolo a successivo risciacquo. Scottatura L’operazione consente, immergendo i pomodori in acqua bollente, il distacco della buccia dalla polpa. Al termine della scottatura i pomodori vengono scolati. Setacciatura o spremitura Con l’aiuta di una apposita macchina dotata di un setaccio cilindrico aperto alle estremità, i frutti vengono inseriti da un lato e, mentre succo e polpa, spremuti dalla macchina, passano attraverso il setaccio, scivolando in appositi contenitori, dalla seconda apertura fuoriescono bucce e semi. Pastorizzazione La pastorizzazione è la fase più delicata del processo di lavorazione, e prevede l’ebollizione del prodotto per un periodo variabile fra i 15 ed i 30 minuti. Questo procedimento, nell’industria, avviene sotto vuoto in apposite “boules” per passare poi ai concentratori. Confezionamento Il prodotto concentrato così ottenuto viene inserito in contenitori in vetro, in metallo o in poliaccoppiato e quindi sigillato. Nella produzione domestica si possono aggiungere foglie di basilico e olio d’oliva per preservare la conserva dal contatto con l’aria. Il prodotto industriale viene sterilizzato dopo il confezionamento, a meno che questo già non avvenga in ambiente asettico. Condizionamento Permette di portare gradualmente i contenitori alla temperatura dell’ambiente. Al termine i contenitori possono essere opportunamente movimentati, stivati, imballati e spediti.
02. La sede museale
Questa sezione descrive il complesso architettonico che ospita il museo.
Giarola sorge sulla riva destra del Taro all’incirca a metà strada tra Fornovo e Pontetaro. Il significato e l’origine del toponimo sono di facile decifrabilità: Glarola, cioè la ghiaietta del Taro, in epoca romana o altomedievale. A capo di uno dei tanti guadi del fiume, Giarola venne a trovarsi sulla strada pedemontana che, provenendo dalla Val Baganza e da Talignano, conduceva a Medesano, Noceto e Borgo San Donnino. La località, interamente pianeggiante, stretta tra Oppiano a Sud, la strada Maestra a Est, il torrente Scodogna a Nord e il fiume Taro a Ovest, in età storica, cioè dalla metà dell’Undicesimo secolo, epoca alla quale risalgono le prime notizie, divenne proprietà del monastero femminile di San Paolo e sede di un piccolo nucleo monastico intorno al quale vennero a formarsi una chiesa, stalle e vaccherie, abitazioni, un mulino e un caseificio: una corte rurale, insomma, autosufficiente e protetta da robuste mura, tanto che in alcuni documenti viene anche chiamata castro, castello. Il mulino era mosso dalle acque del canale Naviglio Taro, che aveva – come tuttora – il suo incile poco a monte, dapprima a Ozzano e poi un po’ più a valle, verso la chiesa di Oppiano, dove pure esisteva una corte monastica, questa volta dei Benedettini di San Giovanni Evangelista, con un mulino e, forse, anche uno xenodochio, cioè un piccolo ospizio per i pellegrini che transitavano lungo il fiume in direzione di Fornovo per affrontare il tratto appenninico della Via Francigena, o Strada Romea. Il canale Naviglio Taro scorreva quindi attraverso Collecchiello e Vicofertile e portava l’acqua a Parma a Porta San Francesco, oggi Bixio, e giungeva fino alla peschiera del Parco Ducale. Muoveva parecchi mulini e opifici in campagna e in città, fino alla fabbrica ducale dei vetri e delle maioliche, passata ai Bormioli alla metà dell’Ottocento. Tutta questa zona rivierasca, un tempo sicuramente paludosa e fitta di boschi, al volgere del primo millennio era dunque già ben bonificata e resa produttiva. Le coltivazioni erano a grani, foraggi, viti e riso. Le risaie, presenti già nel Cinquecento, vennero soppresse per disposizione ducale, ma ripristinate, perché assai redditizie, nell’Ottocento; definitivamente ritenute dannose per la salute pubblica, vennero soppresse nel 1874. Il castello aveva la sua sia pur limitata importanza strategica se all’inizio del sec. XIV fu aspramente conteso durante la lotta tra le fazioni che si riunivano intorno alle più importanti famiglie parmigiane; nel 1451 ospitò il duca Francesco Sforza proveniente dal Piacentino e in viaggio nel Parmense, e vi si accampò parte dell’esercito dei Collegati comandato da Francesco II Gonzaga, che datò alcune sue lettere proprio da Giarola, alla vigilia della Battaglia del Taro del 6 luglio 1495. Giarola si inseriva nel sistema di incastellamento del territorio. Per accennare soltanto agli immediati dintorni, altri castelli o corti fortificate erano a Madregolo, Collecchio, Segalara, Carona e, oltre il Taro, a Noceto, quasi tutti nelle mani della famiglia Rossi[1]. La chiesa, invece, originariamente una semplice cappella, benché inserita nel percorso della Via Francigena, non aveva il titolo di distinzione di Pieve e già nel 1230 dipendeva da quella vicina di Collecchio. Certamente però aveva una forma plebana, con fronte a capanna, abside semicircolare e archetti in cotto, alcuni dei quali sono sopravvissuti ai consistenti restauri intervenuti nel tempo, in particolare nel sec. XVIII, e ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. All’interno si conservano, tra l’altro, un’Annunciazione di un buon imitatore del Malosso, forse Francesco Lucchi (come suggerito da Giuseppe Cirillo e Giovanni Godi) dei primi del Seicento entro una cornice settecentesca, una Sacra Famiglia coi Santi Gioacchino e Anna, di discreta qualità, della seconda metà del Settecento e un paliotto in cuoio lavorato e dipinto, della stessa epoca[2].
03. La visita al museo
Questa ultima sezione fornisce maggiori informazioni sulla visita museale.
Di origine americana, il pomodoro ha trovato proprio in provincia di Parma terreno fertile, già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. E il territorio non si è limitato alla coltivazione, si è orientato anche verso la trasformazione, tanto da esportare oggi, in tutto il mondo, non solo i prodotti a base di pomodoro ma anche la tecnologia per l’industria conserviera. Il pomodoro sta dunque a pieno titolo nel percorso museale che valorizza i prodotti tipici del parmense. La sede del museo è collocata all’interno della Corte di Giarola, nel comune di Collecchio, in un centro di trasformazione agroalimentare d’epoca medievale. Sede di un’industria di conserva di pomodoro per i primi sessant’anni del Novecento, oggi è anche centro del Parco Fluviale Regionale del Taro. L’allestimento è organizzato in sette sezioni tematiche. La prima racconta la storia, con l’arrivo in Europa nel Cinquecento del pomodoro e la sua successiva diffusione nella cultura alimentare. Vengono illustrate le varietà esistenti, le proprietà nutritive, le zone di produzione. L’itinerario prosegue con la seconda sezione che illustra lo sviluppo dell’industria di trasformazione nella realtà economica di Parma: dal prodotto secco alla conserva, dai concentrati ai passati, dai sughi pronti ai succhi da bere. La terza sezione mostra lo sviluppo delle tecnologie produttive: dalla proto-industria alla fabbrica con la ricostruzione di una linea di produzione per la conserva di pomodoro realizzata con 14 macchine d’epoca. Molto interessante anche la quarta tappa che affronta la tematica del prodotto fi nito e degli imballaggi, con l’esposizione di oltre cento latte originali d’epoca, nonché il ricchissimo materiale di comunicazione e promozione degli oltre settanta marchi attivi all’inizio del Novecento nel Parmense. La quinta sezione si dedica allo sviluppo dell’industria meccanica, la sesta racconta gli imprenditori pionieri e i differenti lavori in fabbrica, ospita uno spazio dedicato alla Stazione sperimentale dell’industria delle conserve e alimentari istituita nel 1922 e alla Mostra delle Conserve, importante vetrina dell’industria parmigiana e progenitrice dell’attuale Cibus. A chiudere il percorso museale la cultura del ‘Mondo Pomodoro’ con pubblicità, citazioni, dipinti, sculture e ricette a base di pomodoro fi no ad arrivare alla gastronomia, col matrimonio con pasta e pizza.

Museo del Pomodoro
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Lingua dell'itinerario:

01. Il prodotto

02. La sede museale

03. La visita al museo
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Museo del Pomodoro
Questo itinerario è dedicato alla storia e alla produzione della conserva di pomodoro.
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Percorso di visita

01. Il prodotto

02. La sede museale

03. La visita al museo

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01. Il prodotto

02. La sede museale

03. La visita al museo